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Божественная комедия / Divina commedia - стр. 7

 – иметь, владеть, обладать

possente – сильный, мощный

pratom — луг

prodaf — берег

quietare – успокаивать

rado – редкий

ragionare – рассуждать

riposato – отдохнувший, спокойный

riscuotere – сильно трясти, встряхнуть

satirom — сатир

savio– благоразумный, мудрец

scemare – уменьшать

schieraf — ряд, шеренга

sembiante – похожий, подобный

sembianza– образ, подобие

senno– разум, рассудок

sire– господин, государь

smorto – бледный

soave – нежный, сладостный

sospingere – толкать

sovrano – возвышающийся

spadaf — шпага

spemef — надежда

spesso – густой, часто

suolo– земля, почва

tremare – дрожать, трепетать

ubidente – послушный, покорный

virom — муж, мужчина

Canto V

Così discesi del cerchio primaio[80]

giù nel secondo, che men loco cinghia

e tanto più dolor, che punge a guaio.


Stavvi Minòs[81] orribilmente, e ringhia:

essamina le colpe ne l’intrata;

giudica e manda secondo ch’avvinghia.


Dico che quando l’anima mal nata

li vien dinanzi, tutta si confessa;

e quel conoscitor de le peccata


vede qual loco d’inferno è da essa;

cignesi con la coda tante volte

quantunque gradi vuol che giù sia messa.


Sempre dinanzi a lui ne stanno molte:

vanno a vicenda ciascuna al giudizio,

dicono e odono e poi son giù volte.


“O tu che vieni al doloroso ospizio[82]”,

disse Minòs a me quando mi vide,

lasciando l’atto di cotanto offizio[83],


“guarda com’ entri e di cui tu ti fide;

non t’inganni l’ampiezza de l’intrare!”.

E ‘l duca mio a lui: “Perché pur gride?


Non impedir lo suo fatale andare:

vuolsi così colà dove si puote

ciò che si vuole, e più non dimandare”.


Or incomincian le dolenti note[84]

a farmisi sentire; or son venuto

là dove molto pianto mi percuote.


Io venni in loco d’ogne luce muto,

che mugghia come fa mar per tempesta,

se da contrari venti è combattuto.


La bufera infernal, che mai non resta[85],

mena li spirti con la sua rapina;

voltando e percotendo li molesta.


Quando giungon davanti a la ruina,

quivi le strida, il compianto, il lamento;

bestemmian quivi la virtù divina.


Intesi ch’a così fatto tormento

enno dannati i peccator carnali,

che la ragion sommettono[86] al talento.


E come li stornei ne portan l’ali

nel freddo tempo, a schiera larga e piena,

così quel fiato li spiriti mali


di qua, di là, di giù, di sù li mena;

nulla speranza li conforta mai,

non che di posa, ma di minor pena.


E come i gru van cantando lor lai[87],

faccendo in aere di sé lunga riga,

così vid’ io venir, traendo guai,


ombre portate da la detta briga[88];

per ch’i’ dissi: “Maestro, chi son quelle

genti che l’aura nera sì gastiga[89]?”.


“La prima di color di cui novelle

tu vuo’ saper”, mi disse quelli allotta[90],

“fu imperadrice[91] di molte favelle.


A vizio di lussuria fu sì rotta,

che libito fé licito in sua legge,

per tòrre[92] il biasmo[93] in che era condotta.


Ell’ è Semiramìs, di cui si legge

che succedette a Nino e fu sua sposa:

tenne la terra che ‘l Soldan corregge[94].


L’altra è colei che s’ancise[95] amorosa,

e ruppe fede al cener di Sicheo;

poi è Cleopatràs lussurïosa.


Elena vedi, per cui tanto reo

tempo si volse, e vedi ‘l grande Achille,

che con amore al fine combatteo.


Vedi Parìs, Tristano”; e più di mille

ombre mostrommi e nominommi a dito,

ch’amor di nostra vita dipartille.


Poscia ch’io ebbi ‘l mio dottore udito

nomar[96] le donne antiche e ‘ cavalieri,

pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.

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