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Итальянский с любовью. Осада Флоренции / L'assedio di Firenze - стр. 2

[5] cara e onorata cadesse la patria tra noi, disposero i cieli ad essere il martire della libertà, l’ultimo dei generosi Italiani. Machiavelli mosse le labbra e favellò:

“Io vi aspettavo: silenzio! Parole ho a dirvi degne che per voi si ascoltino, per me si favellino, né alla umanità né alla patria inutili affatto e per la mia fama necessarie. La natura mi chiama, ed io sto disposto a rispondere. Perché piangete? Chiamerà anche voi; e poichì la vecchiezza precede la morte, considero la morte pietà; io però bene devo ringraziarla di questo, che ella non volle chiudermi gli occhi, se prima non avessi contemplato il giorno della risurrezione; adesso sì che mi sento capace davvero d’invocare col cuore il nome di Dio, poiché la mia bocca, sopra la piazza della Signoria, davanti la faccia del cielo, ha gridato: Viva la libertà!… Silenzio! onde il senno dei tempi non vada disperso. Le schiatte umane passano come ombre; se non che, prima di ripararsi sotto il manto di Dio, nelle mani delle schiatte sorvegnenti consegnano la fiaccola della scienza: a guisa del fuoco sacro di Vesta, quantunque ella muti sacerdoti, pure arde sempre e cresce nei secoli nì ormai più teme vento di barbarie. Accostatevi e raccogliete le estreme parole, però che vi aprirò il mio pensiero come se fossi davanti al tribunale dell’Eterno. Voi, giovani, nei quali tutta speranza di salute riposa, restringetevi insieme; voi, Zanobi e Luigi, consigliate i nobili; voi, Dante da Castiglione (e il membruto della lunga barba rossa, sentendosi rammentare, si scosse come destriero al suono della battaglia), adoperatevi fra i popolani; badate a non lasciarvi sedurre dalle antiche rinomanze; a’ casi nuovi convengono uomini nuovi: se anima vive che valga a salvare Firenze, è certamente quella di Francesco Carducci; a me giova indicarvelo come il nostro palladio: molto mi conforta il pensiero che al nostro scampo basta non perdere, mentre ai nemici bisogna vincere.

A voi, carissimi, affido il mio nome; difendetelo voi; e se da alcuno udiete parola che rechi oltraggio alla mia memoria, più generosi di san Pietro, non vogliate negare il vostro maestro: dove il vitupero muova da uomo invidioso, tacete, imperocché all’odio della mia virtù si aggiungerebbe allora l’odio che nasce dal sentirsi dichiarato iniquo; ma dove comprendiate lui essere ingannato, ditegli animosi in mio nome: Nicolò Machiavelli non insegnò ai ricchi la roba, ai poveri l’onore, a tutti la vita: sappiate volersi un gran cuore per intendere un cuore grande”.

Piangevano tutti. I circostanti, il voto del moribondo adempiendo, si allontanarono dalla stanza; se non che ora l’uno, ora l’altro senza mostrarglisi, gli resero gli uffici estremi, finchì, aggravandosi il male, il giorno appresso 22 giugno 1527, quando pare che la campana pianga la luce scomparsa dal nostro emisfero, spirò la sua grand’anima Nicolò Machiavelli.

Capitolo Terzo

Il papa e l’imperatore

Seduti entrambi, Clemente VII da un lato, Carlo V dall’altro di una lunga tavola coperta di velluto cremesino a frangie d’oro, con le insegne della Chiesa ricamate in oro; e sovr’essa carte e pergamene di ogni maniera, brevi, diplomi e capitoli quivi spiegati, quasi museo e satira delle scambievoli loro insidie, alcuni col suggello di Spagna, alcuni colle armi dell’impero, parte con le palle dei Medici, parte ancora con la immagine di san Pietro che pesca e invano rammenta al superbo pontefice la povertà della chiesa primitiva di Cristo. L’imperatore continuava dicendo:

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